Gyorgy Garics, ex calciatore del Napoli, è stato intervistato ieri sera a VG 21, trasmissione in onda su Canale 21 e condotta da Manuel Parlato. L’ex nazionale austriaco, oggi imprenditore nel mondo dello sport, ha raccontato la sua quarantena e spiegato cosa potrebbe significare riprendere il campionato e l’attività sportiva a mesi di distanza in questa situazione. Garics ha chiuso l’intervista con una interessante considerazione sull’aspetto finanziario e speculativo del calcio. Di seguito la sintesi delle sue parole elaborata da ForzaNapoli.Net.
“Sto trascorrendo la quarantena a Bologna con la mia famiglia. Siamo chiusi da settimane, teniamo botta cercando di rispettare le regole. Sono sicuro che in Campania, i miei ex tifosi, lo stiano facendo. Credo sia normale che inizi a pesare la situazione, un po’ per tutti. Siamo speranzosi, non vediamo l’ora di tornare un po’ alla normalità. Anche se, secondo me, la normalità sarà definita con regole diverse.
Sinceramente sono contento, in questo momento, di non essere nei panni di dirigenti, dottori e dei miei ex compagni. Nessuno di noi si immaginava una cosa del genere, e non immaginiamo nemmeno le difficoltà che tutte le componenti del calcio devono affrontare per tornare alla normalità, a partire dagli allenamenti. So che in Germania stanno già facendo qualcosa: entrano nello stadio in 6 alla volta, alcuni aspettano negli spogliatoi, un gruppo si allena in palestra… Sono primi passi verso l’allenamento, ma non verso il calcio che conosciamo. Sono possibilità di non fermarsi, ma sarà lungo e doloroso il cammino, e bisogna stare attenti. E sperare di potersi allenare presto insieme, ma il campionato non sarà più quello che sarebbe potuto essere senza lo stop forzato.
Si riparte quasi da zero…Sarebbe meglio ripartire davvero da zero: si riparte da un punto diverso rispetto a quello in cui si è fermati, dal primo all’ultimo in classifica. Quello che si sta facendo è dovuto ai meccanismi economici-finanziari del calcio. Fermarsi causerebbe ancora più danni. Capisco che con tutto quello che c’è da giocare, nessuno vorrebbe rinunciare a niente. Ma non possiamo fare più partite di quante già ne faremo nel tempo che ci rimane. Se non avessimo impegni già fissati in futuro (la nuova stagione, gli Europei, i Mondiali 2022, ndr), avremmo il tempo di finire questa stagione diversamente. Anche se il campionato resterebbe comunque falsato, perché è stata fermata la continuità.
Da cittadino che ama lo sport, non vedo l’ora che si riprenda. Se penso con la testa da ex giocatore attivo, faccio fatica a pensare che sarà il campionato di prima…E vale per tutto lo sport, qualcosa cambierà. Una volta finita, lo sport ne approfitterà più di altri settori, perché la gente sta capendo quanto bene faccia muoverci liberamente, quando vogliamo. Sono fermamente convinto, sarò all’antica, che la vita non possa essere quella che stiamo facendo, attaccati ai cellulari e ai social networks. Che magari ora ci stanno salvando la vita, però…
Il paragone in questo contesto potrebbe essere quello di un lungo infortunio. A me è successo quando mi sono rotto il ginocchio destro a Bologna, a Febbraio 2011, e sono rientrato dopo dieci mesi in campo. Facevo più allenamenti rispetto al solito, ma facevo allenamenti diversi. In questo caso non ci sono infortuni, ma il ritmo sarà diverso ugualmente. Probabilmente i calciatori avranno un exploit immediato nelle prestazioni, senza rendersi conto del perché. Dopo un mese e mezzo però ci sarà un calo, anche questo apparentemente inspiegabile. La situazione non si conosce, e anche gli studi fatti in passato su situazioni simili – come quelle preritiro – potrebbero non essere sufficienti. Ci vorrà una rinfrescata dal punto di vista fisico. Con la differenza che ad inizio stagione davvero si parte tutti da zero in classifica, mentre ora ognuno si aggrapperà alla posizione conquistata finora.
Anche se noi del calcio siamo controllati non siamo immuni. E finché la malattia capita ad uno solo è un conto, ma se capita a tanti giocatori assieme… Il detto “The show must go on” ha prevalso sulle partite giocate agli albori dell’emergenza. Ci sono segnali dai quali imparare: il calcio non può essere solo il giro di soldi che si è prodotto intorno ai trasferimenti. Il denaro non gioca un ruolo davanti alla malattia, in questo momento siamo tutti uguali. Questo effetto durerà poco, ma ad alcuni di noi farà riflettere. Potrebbe dare una mano a ridimensionare il mondo del pallone, alla piega che ha preso con le cifre che girano. Non voglio sputare nel piatto dove ho mangiato, e ho mangiato anche bene. Ma il calcio stava diventando una bolla di sapone pronta ad esplodere: è bastato un piccolo virus a cambiare le carte in tavola per tutti quanti”.